Iniziano a manifestarsi anche nel mondo accademico le prime reazioni all’atto di prepotenza con cui si è dato il via alla devastazione della Diatto. Ne diamo conto in questo post, che contiamo di aggiornare se se ne aggiungeranno di nuove.
Per ora registriamo la presa di posizione dell’AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale), la più autorevole associazione italiana di archeologia industriale.
Una nota, breve ma diforte rammarico, appare anche sul settimanale informatico dell’ordine degli architetti TAO (transmitting architecture organ).
Oltre a questo riceviamo, e volentieri pubblichiamo qui al fondo, il contributo dell’architetto Marcello Modica. L’architetto Modica, autore della bozza di progetto alternativo che ospitiamo su questo blog, è un’esperto dell’architettura degli stabilimenti SNIA.
Aggiornamento dell’11/6: Lettera aperta di Salviamo il paesaggio al sindaco Fassino.
Le molteplici operazioni di riqualificazione urbana che attualmente interessano le grandi e medie città italiane costituiscono eccezionali occasioni per coinvolgere i cittadini nella progettazione del loro futuro, attraverso forme di democrazia partecipata e neighborhood planning. Purtroppo solo raramente questo avviene, in quanto a prevalere sono quasi sempre gli interessi di pochi, pochissimi. Da una parte quelli – giustificati ma sovente non giustificabili – degli investitori immobiliari e dall’altra le intenzioni – raramente volte al perseguimento del bene pubblico – di Comuni ed altri enti locali. Quello che è successo a Torino mercoledì 5 giugno 2013, ovvero la demolizione coatta di un luogo simbolo del Novecento industriale torinese, in fregio alle richieste degli abitanti del quartiere, è una prova evidente di miopia istituzionale, oltre che di ignoranza e di impreparazione di chi si assume il non facile compito di guidare la nostra società.
Lo stabilimento di via Frejus, realizzato a partire dal 1905 con il contributo di Pietro Fenoglio, ho ospitato nel corso di un secolo due “istituzioni” della cultura industriale e imprenditoriale italiana: la casa automobilistica Diatto prima e la grande SNIA Viscosa poi, quest’ultima fondata proprio a Torino da Riccardo Gualino nel 1917. La prima delle due ha operato in via Frejus dal 1905 al 1925, realizzando autovetture sportive e di lusso, mentre la SNIA, dal 1925 alla metà degli anni Settanta, assemblava in quegli stessi reparti i grandi macchinari per i propri stabilimenti chimico-tessili situati in Italia e all’estero. Il complesso industriale rappresenta, con i suoi spazi interni e le sue architetture, un valido esempio di stabilimento metalmeccanico della prima metà del Novecento in contesto urbano. Uno tra gli elementi più notevoli e significativi, la cisterna dell’acqua a servizio della piccola centrale termica, è stato il primo edificio a soccombere sotto i colpi delle ruspe: ora non esiste più. Intorno a questa struttura si è dibattuto parecchio nei mesi passati, soprattutto in merito alla sua origine. Una solida alleanza tra proprietari dell’area, progettisti, Comune e Soprintendenza ha tentato di far passare l’idea che la cisterna fosse stata edificata dopo il 1945, e quindi, a loro detta, non meritevole di conservazione. Purtroppo per loro, e per chi ignora il valore dell’architettura moderna, tale cisterna è stata realizzata insieme alla contigua centrale termica nella seconda metà degli anni Venti, per opera della SNIA Viscosa. Inoltre, edifici identici salvo le dimensioni esistono ancora oggi all’interno degli ex stabilimenti SNIA di Venaria Reale e Pavia, anch’essi ampliati nella stessa epoca di quello torinese.
L’intero complesso rischia di essere cancellato in pochi giorni per fare posto ad un progetto approvato dal Comune ma non dai cittadini residenti nel quartiere. Tale progetto prevede:
– un mix funzionale sterile e deleterio per il quartiere, costituito da un centro commerciale (che metterebbe a rischio la tenuta del commercio al dettaglio e del vicino mercato rionale), da residenze di pregio (in controtendenza rispetto alla necessità reale del quartiere, ovvero alloggi sociali ad accesso agevolato) e da un grande parcheggio multipiano interrato (che molto probabilmente rimarrebbe inutilizzato visto che ci troviamo in un’area prossima al centro cittadino ben servita dai trasporti pubblici);
– volumetrie elevate (edifici fino a 7/8 piani) che andrebbero a sommarsi alla già
consistente densità edilizia del quartiere;
– uno spazio pubblico anonimo costipato tra gli edifici lineari, con una presenza irrisoria di verde pubblico.
Oltre al danno la beffa, verrebbe da dire. Un’operazione di trasformazione urbana che cancella la memoria storica del quartiere (e della città) e insieme rischia seriamente di compromettere l’equilibrio sociale dello stesso con funzioni e spazi non adeguati. Dopo vent’anni di sperimentazioni urbanistiche in cui simili progetti hanno intaccato irrimediabilmente l’identità delle principali città italiane si continua ancora oggi a percorrere questa strada, nel disinteresse più totale verso i reali fruitori della città, ovvero i cittadini.
La riqualificazione del complesso Diatto/SNIA di via Frejus avrebbe potuto rappresentare un caso positivo di conservazione e adeguamento dell’esistente, ad esempio introducendo negli edifici – già in ottime condizioni strutturali – funzioni di pubblica utilità (centri di aggregazione, aule civiche, una biblioteca di quartiere) e spazi flessibili da affittare per coworking e start-up, case-laboratorio per giovani artigiani e creativi, social housing di qualità. L’obiettivo di una seria amministrazione pubblica doveva essere quello di restituire a questo luogo la centralità che storicamente ha rappresentato per il quartiere, attraverso un “ritorno” alla città capace di durare, e perdurare, nel tempo. Ma questo non è stato.
La cisterna è con certezza assoluta da datare prima del 1925…purtroppo l’anno preciso è per me ancora incerto ma si suppone tra il 1918 ed il 1920…
cmq la cisterna si vedeva già nelle immagini dei primi decenni del ‘900